Stati Uniti, Europa e Unione Sovietica: le sanzioni e gli echi della «guerra fredda»
Nel giorno in cui avrebbe compiuto 102 anni, riproponiamo una testimonianza di Emilio Colombo che sorprende per la sua straordinaria attualità.
Da ministro degli Esteri affrontai anche il periodo successivo all’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Unione Sovietica.
Nei primi anni Ottanta, gli Stati Uniti, d’accordo con i Paesi europei, imposero sanzioni all’Unione Sovietica e ai Paesi che stavano dietro la cortina di ferro, come risposta all’invasione dell’Afghanistan. In Europa, però, non tutti i Paesi condividevano l’imposizione di quelle sanzioni, perché da esse sarebbero derivate conseguenze negative di carattere economico. Devo ricordare che vi erano riserve persino da parte della Germania «europea», oltre che dell’Italia e dell’Inghilterra: questo creava difficoltà nei rapporti «transatlantici», ovvero in quello che è sempre stato, ed è ancora, uno degli elementi fondamentali della nostra politica, riassumibile nella formula: «Europa sì ma con gli Usa, sia nella tutela degli equilibri mondiali, sia nel campo della difesa».
Io mi preoccupai di questo e siccome negli Usa si insediava il nuovo ministro degli Esteri, George Shultz (che avevo conosciuto dato che avevamo assunto, nello stesso periodo, la responsabilità del Tesoro), decisi di andarvi, per essere il primo rappresentante dei Paesi occidentali ad incontrare il nuovo ministro degli Esteri.
(…) Quando ci incontrammo, la mattina successiva al mio arrivo, gli dissi: «Ma cosa avete deciso con il vostro presidente Reagan? Di regalare su un piatto d’argento quello che i sovietici aspettano da tanti anni e cioè il franamento della Comunità europea? Volete esaltare gli elementi di disunione piuttosto che quelli di unità?».
A quel punto mi guardò molto meravigliato, perché non capiva minimamente a che cosa stessi alludendo. Gli spiegai allora che le sanzioni che avevano applicato, e che chiedevano ai loro alleati di adottare nei confronti dell’Unione Sovietica, producevano conseguenze di carattere economico non serenamente accettate da tutti. Gli dissi che nonostante noi italiani avessimo difficoltà, avremmo comunque accolto l’idea delle sanzioni, ma aggiunsi che in Germania, come in altri Paesi, vi erano forti riserve. Chiarii che, sebbene fosse giusta la reazione americana nei confronti dell’Urss, non avremmo dovuto rischiare di incrinare i rapporti interni tra i Paesi europei, e tra questi e gli Stati Uniti. Shultz capì subito il senso delle mie parole e disse che sarebbe stato conveniente parlarne con il presidente Reagan. Benché avessi sostenuto che fosse suo compito farlo, insistette affinché l’indomani andassimo dal presidente per esporgli la questione.
Il giorno successivo ci recammo da Reagan, al quale ripetei quello che il giorno prima avevo detto al ministro e cioè che l’applicazione così rigida delle sanzioni nei confronti dei Paesi del Comecon, come nostra risposta per l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Urss (politicamente valida ma economicamente difficile da sostenere), creava difficoltà nei rapporti tra Europa e Usa, tra Paesi industrializzati del mondo occidentale e Usa. Reagan comprese subito la questione e propose di organizzare una riunione con tutti i Paesi del Patto Atlantico per spiegarne i termini, mettere in luce le difficoltà, cercare di eliminare gli eventuali attriti e adattare le sanzioni alla situazione dei singoli Paesi. Fu convocata, così, una riunione dei ministri degli Esteri dei Paesi del Patto Atlantico in Canada. Si sarebbe dovuto trattare di una riunione privata, ma accadde che, dopo poche ore, fu riportata su tutti i giornali; il senso di quella riunione, in fondo, era quello dell’attenuazione della rigidità delle sanzioni economiche nei confronti dell’Urss. Si ottenne, dunque, il ristabilirsi di un rapporto più armonico con gli Stati Uniti.
Tratto da Emilio Colombo. L’ultimo dei costituenti, a cura di D. Verrastro ed E. Vigilante, Roma-Bari, Laterza, 2016 (pp. 201-203).
Emilio Colombo (Potenza 11 aprile 1920 – Roma 24 giugno 2013)
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